Caos - Metamorfosi di Ovidio


Nel 2008 mi avventurai nella lettura delle Metamorfosi di Ovidio, mi venne voglia di realizzare una specie di fumetto ad acquarello, come un specie di appunto di lettura. Il libro di Ovidio si fece divorare in fretta ma data la mole e la grandezza delle Metamorfosi il mio tentativo di fumetto acquerellato rimase incompiuto, conto sempre di riprendere questo lavoro. Inserisco in questo blog alcune tavole. Questa è la prima.


francesco zaffuto - caos - acquerello – 2008 - cm. 29x21,5 

Prima del mare, della terra e del cielo, che tutto copre,
unico era il volto della natura in tutto l'universo,
quello che è detto Caos, mole informe e confusa,
non più che materia inerte, una congerie di germi
differenti di cose mal combinate fra loro.
(libro primo - Metamorfosi)



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Separazione della terra dal cielo - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto . separazione della terra dal cielo - acquerello – 2008 - cm. 29x21,5 

un dio, col favore di natura, sanò questi contrasti:
dal cielo separò la terra, dalla terra il mare
e dall'aria densa distinse il cielo limpido.
E districati gli elementi fuori dall'ammasso informe,
riunì quelli dispersi nello spazio in concorde armonia.
(Libro Primo - Metamorfosi di Ovidio)

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Età dell'oro - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - età dell'oro - acquarello, matite, isatis, polvere di pino 2008 - cm. 21,5x29 

Per prima fiorì l'età dell'oro, che senza giustizieri
o leggi, spontaneamente onorava lealtà e rettitudine.
Non v'era timore di pene, né incise nel bronzo
si leggevano minacce, o in ginocchio la gente temeva
i verdetti di un giudice, sicura e libera com'era.
Reciso dai suoi monti, nell'onda limpida il pino
ancora non s'era immerso per scoprire terre straniere
e i mortali non conoscevano lidi se non i propri.
Ancora non cingevano le città fossati scoscesi,
non v'erano trombe dritte, corni curvi di bronzo,
né elmi o spade: senza bisogno di eserciti,
la gente viveva tranquilla in braccio all'ozio.
Libera, non toccata dal rastrello, non solcata
dall'aratro, la terra produceva ogni cosa da sé
e gli uomini, appagati dei cibi nati spontaneamente,
raccoglievano corbezzoli, fragole di monte,
corniole, more nascoste tra le spine dei rovi
e ghiande cadute dall'albero arioso di Giove.
Era primavera eterna: con soffi tiepidi gli Zefiri
accarezzavano tranquilli i fiori nati senza seme,
e subito la terra non arata produceva frutti,
i campi inesausti biondeggiavano di spighe mature;
e fiumi di latte, fiumi di nettare scorrevano,
mentre dai lecci verdi stillava il miele dorato.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)

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Età dell'argento - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - età dell'argento - acquarello e isatis - 2008 - cm. 29x21,5 

Giove ridusse l'antica durata della primavera
e divise l'anno in quattro stagioni: l'inverno, l'estate,
un autunno variabile e una breve primavera.
Allora per la prima volta l'aria si fece di fuoco
per l'arsura o si rapprese in ghiaccio per i morsi del vento;
per la prima volta servirono case, e furono grotte,
arbusti fitti, verghe legate insieme da fibre;
allora in lunghi solchi si seminarono i cereali
e sotto il peso del giogo gemettero i giovenchi.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Età del bronzo - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - età del bronzo - acquarello e matite - 2008 - cm. 29x21,5 

Terza a questa seguì l'età del bronzo: d'indole
più crudele e più proclive all'orrore delle armi,
ma non scellerata.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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http://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/primo.htm

Età del ferro - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - età del ferro -acquarello, matite, isatis, polvere di pino - 2008 - cm. 21,5x29 

…… L'ultima fu quella ingrata del ferro.
E subito, in quest'epoca di natura peggiore, irruppe
ogni empietà; si persero lealtà, sincerità e pudore,
e al posto loro prevalsero frodi e inganni,
insidie, violenza e smania infame di possedere.
Senza conoscerli bene, il marinaio diede le vele
ai venti, e le carene, che un tempo stavano in cima ai monti,
si misero a battere flutti sconosciuti.
Sulla terra, comune a tutti prima, come la luce del sole
o l'aria, il contadino tracciò con cura lunghi confini.
E non si pretese solo che questa, nella sua ricchezza,
desse messi e alimenti, ma si penetrò nelle sue viscere
a scavare i tesori che nasconde vicino alle ombre
dello Stige e che sono stimolo ai delitti.
Così fu estratto il ferro nocivo e più nocivo ancora
l'oro: e comparve la guerra, che si combatte con entrambi
e scaglia armi di schianto con mani insanguinate.
Si vive di rapina: l'ospite è alla mercé di chi l'ospita,
il suocero del genero, e concordia tra fratelli è rara.
Trama l'uomo la morte della moglie e lei quella del coniuge;
terribili matrigne mestano veleni lividi;
il figlio scruta anzitempo gli anni del padre.
Vinta giace la pietà, e la vergine Astrea,
ultima degli dei, lascia la terra madida di sangue.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Banchetto di Re Licaone - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - il banchetto di Re Licaone - acquarello e isatis -2008 - cm. 21,5x29 

Mi era giunta all'orecchio l'infamia di questo tempo;
sperando che non fosse vero, scendo dalla cima dell'Olimpo
e sotto spoglie umane io Giove percorro la terra.
Lungo sarebbe elencare tutti i misfatti che trovai
disseminati: nulla il sospetto in confronto al vero.
Passato il Mènalo spaventoso per i covi delle sue belve,
il Cillene e le pinete del gelido Liceo,
arrivo, quando il crepuscolo annuncia ormai la notte,
dove ha sede l'inospitale dimora del tiranno di Arcadia.
Feci intendere che era giunto un dio, e il popolo
si mise a pregare: Licàone prima si fa beffe dei devoti,
poi dice: "Voglio accertare, con prova lampante, che questo dio
non sia un mortale; e il vero sarà indubitabile".
Di notte, immerso nel sonno, m'avrebbe ucciso a tradimento:
questa era la prova della verità che intendeva.
Non contento, sgozza col pugnale un ostaggio
inviatogli dalla gente di Molossia,
e quelle membra ancora palpitanti nell'acqua bollente
parte le lessa e parte le arrostisce al fuoco.
Non ha il tempo d'imbandirmele, che con la fiamma vendicatrice
su sé stessa io faccio crollare quella casa degna del padrone.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Diluvio universale - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - diluvio universale - acquarello e isatis -2008 - cm. 21,5x29 

La furia sfrenata del mare ormai ha coperto le alture,
e i flutti, cosa mai vista, si frangono contro i picchi dei monti.
Il più degli uomini è travolto dai marosi e quelli risparmiati
sono vinti, per mancanza di cibo, dal lungo digiuno.

(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Deucalione e Pirra - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - Deucalione e Pirra - acquarello, isatis, polvere di pino -2008 - cm. 21,5x29 

Fu in questo luogo (l'unico non sommerso) che Deucalione
approdò, portato da una piccola barca, con la sua compagna,
e subito invocarono le ninfe coricie, gli dèi dei monti
e Temi, che predice il destino e che allora lì teneva oracoli.
Mai ci fu uomo migliore di lui e più amante
di giustizia, mai ci fu donna più timorata di lei. E Giove,
quando vide il creato ridotto a un mare d'acque stagnanti
e di tante migliaia d'uomini un solo superstite,
di tante migliaia di donne una sola superstite,
due esseri innocenti, due esseri devoti agli dei,
squarciò le nubi e, dispersi col vento gli uragani,
mostrò di nuovo al cielo la terra e alla terra il cielo.

(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Apollo e il pitone - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - Apollo e il pitone - acquarello, isatis, polvere di pino -2008 - cm. 21,5x29 

Quando dunque il suolo, fangoso per il recente diluvio,
si riasciugò al calore benefico dell'astro celeste,
partorì un'infinità di specie, in parte riproducendo
forme note, in parte creando mostri sconosciuti.
E pur non volendolo, generò anche te, Pitone smisurato,
serpente mai visto prima, terrore delle nuove genti,
tanto era lo spazio su cui ti distendevi giù dal monte.
Febo, il dio con l'arco, ma che fino ad allora di quell'arma
s'era servito solo contro camosci e caprioli in fuga,
lo seppellì di frecce e svuotò quasi la faretra per ucciderlo,
facendogli sprizzare veleno dalle nere ferite.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Apollo ed Heros - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - Apollo ed Heros - acquerello, matita e isatis -2008 - cm. 21,5x29 

Ancora insuperbito per aver vinto il serpente, il dio di Delo,
vedendolo che piegava l'arco per tendere la corda:
«Che vuoi fare, fanciullo arrogante, con armi così impegnative?»
gli disse. «Questo è peso che s'addice alle mie spalle,
a me che so assestare colpi infallibili alle fiere e ai nemici,
a me che con un nugolo di frecce ho appena abbattuto Pitone,
infossato col suo ventre gonfio e pestifero per tante miglia.
Tu accontèntati di fomentare con la tua fiaccola,
non so, qualche amore e non arrogarti le mie lodi».
E il figlio di Venere: «Il tuo arco, Febo, tutto trafiggerà,
ma il mio trafigge te, e quanto tutti i viventi a un dio
sono inferiori, tanto minore è la tua gloria alla mia».
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Apollo e Dafne - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - acquarello, matita,  isatis, polvere di pino -2008 - cm. 21,5x29 

….. e dalla faretra estrasse due frecce
d'opposto potere: l'una scaccia, l'altra suscita amore.
La seconda è dorata e la sua punta aguzza sfolgora,
la prima è spuntata e il suo stelo ha l'anima di piombo.
Con questa il dio trafisse la ninfa penea, con l'altra
colpì Apollo trapassandogli le ossa sino al midollo.
Subito lui s'innamora, mentre lei nemmeno il nome d'amore
vuol sentire …….
Ancora prega, che un torpore profondo pervade le sue membra,
il petto morbido si fascia di fibre sottili,
i capelli si allungano in fronde, le braccia in rami;
i piedi, così veloci un tempo, s'inchiodano in pigre radici,
il volto svanisce in una chioma: solo il suo splendore conserva.
Anche così Febo l'ama e, poggiata la mano sul tronco,
sente ancora trepidare il petto sotto quella nuova corteccia
e, stringendo fra le braccia i suoi rami come un corpo,
ne bacia il legno, ma quello ai suoi baci ancora si sottrae.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Argo - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - acquarello e matite -2008 - cm. 29x21,5 

Cento occhi aveva Argo tutt'intorno al suo capo:
due alla volta riposavano a turno,
mentre gli altri stavano svegli, montando la guardia.
In qualunque modo si sistemasse, sorvegliava Io;
anche di spalle l'aveva davanti agli occhi.
Di giorno lascia che pascoli; quando il sole scende sottoterra,
la rinchiude, cingendole a disdoro il collo con una catena.
Di fronde d'alberi e di erba amara si nutre l'infelice,
e invece che in un letto si corica sulla terra priva a volte
anche d'una coltre erbosa, e s'abbevera in fiumi fangosi.
E se voleva tendere le braccia ad Argo
per supplicarlo, braccia non possedeva da tendergli;
se tentava di lamentarsi dalla bocca uscivano muggiti
e a quel suono rabbrividiva atterrita dalla sua stessa voce.
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Climene e Fetonte - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - acquarello e polvere di pino - 2008 - cm. 21,5x29 

«Per questo fulgore splendido di raggi abbaglianti,» disse,
«che ci vede e ci ascolta, io ti giuro, figliolo,
che tu sei nato da questo Sole che contempli e che regola
la vita in terra. Se ciò che dico è menzogna, mai più mi consenta
di guardarlo e sia questa luce l'ultima per i miei occhi!
Del resto non ti sarà fatica trovare la casa paterna:
la terra in cui risiede confina con la nostra, là dove sorge.
Se questo hai in animo, va' e chiedi a lui stesso».
(libro primo - Metamorfosi di Ovidio)


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Fetonte e il carro solare - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - acquarello, isatis, polvere di pino -2008 - cm. 21,5x29 

(Fetonte convince il padre Apollo di poter guidare il carro solare, il giovane non ascolta le raccomandazioni prudenti di Apollo per la guida, si lancia in una corsa che sta per provocare la fine della terra, Giove interviene)
…..
tuonò, e librato un fulmine alto sulla destra,
lo lanciò contro l'auriga, sbalzandolo dal cocchio
e dalla vita, e con la furia del fuoco il fuoco represse.
Atterriti s'impennano i cavalli e con un balzo sciolgono
il collo dal giogo, spezzano i finimenti e fuggono.
Qui cadono i morsi, più in là l'asse divelto del timone,
da questa parte i raggi delle ruote fracassate e ciò che resta
del cocchio in frantumi è disseminato in ogni luogo.
(libro secondo - Metamorfosi di Ovidio)

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Batto la spia - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - acquarello, isatis, polvere di pino -2008 - cm.29x21,5

Del furto nessuno s'era accorto, se non un vecchio che sul posto
tutti conoscevano e che i vicini chiamavano Batto:
come guardiano sorvegliava i boschi, i verdi pascoli
e le mandrie delle cavalle di razza del ricco Nèleo.
Diffidando di lui, il dio lo trasse con gentilezza in disparte e:
"Chiunque tu sia, straniero, se capita che qualcuno cerchi
questo armento, non l'hai visto, e perché di ciò tu non rimanga
senza mercede, prenditi in premio una vacca bella lustra".
E gliela diede. Accettandola, quello gli rispose: "Stai tranquillo,
amico: del tuo furto parlerà prima una pietra, questa";
e ne indicò una. Il figlio di Giove finse di andar via,
ma di lì a poco tornò e con diverso aspetto e voce:
"Ehi, contadino," gli disse, "se qui intorno hai visto passare
delle giovenche, dammi aiuto e squarcia il silenzio su questo furto.
Avrai in un colpo solo una femmina col suo toro".
Il vecchio, visto che il premio raddoppiava: "Saranno
sotto a quei monti", rispose; e sotto a quei monti erano.
Rise il nipote di Atlante: "Perfido, tradisci me a me stesso?
me a me stesso tradisci?", e mutò quello spergiuro
in una dura pietra, che ancor oggi è chiamata 'la spia' …
(libro secondo - Metamorfosi di Ovidio)

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http://www.miti3000.it/mito/biblio/ovidio/metamorfosi/primo.htm

Semele e Giove - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - acquarello e isatis -2008 - cm. 21,5x29 



francesco zaffuto - Semele e Giove - acquerello e biro - 2008 - cm.32x43


……. e questa chiede a Giove un dono senza nominarlo.
"Scegli," le risponde il dio; "nulla ti rifiuterò;
e perché tu più mi creda, sia testimone la divinità
del fiume infernale, un dio che anche agli dei incute paura!"
Lieta a proprio danno, eccitata di potere, sul punto di perdersi
per compiacenza dell'amante, Sèmele: "Come ti abbraccia
la figlia di Saturno, quando vi disponete ai giochi d'amore,
così concediti a me!" chiede. Avrebbe voluto il dio, mentre parla,
tapparle la bocca, ma ormai via nell'aria era volata la voce.
Gemette: più non può far sì che non abbia lei chiesto
e lui giurato. E allora tristissimo sale in alto
nel cielo e con uno sguardo raduna docili
le nubi e vi aggiunge uragani e in mezzo ai venti
lampi, tuoni e il fulmine al quale non si sfugge.
Ma, per quanto può, cerca di velare le sue forze
così non si arma del fuoco con cui aveva abbattuto Tifone,
il gigante dalle cento braccia: troppa ferocia v'era in quello.
C'è un altro fulmine più fioco, nel quale la mano dei Ciclopi
ha infuso meno furia e fuoco, meno rabbia:
gli dei lo chiamano fulmine secondo; lo prende ed entra
nella casa di Agenore. Donna mortale non sopporta
assalto celeste e quel dono nuziale la incenerì.
(libro terzo - Metamorfosi di Ovidio)


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Tiresia - Metamorfosi di Ovidio


francesco zaffuto - acquarello, isatis, polvere di pino -2008 - cm. 29x21,5

…………………… per caso Giove
bandisse i suoi assilli, mettendosi piacevolmente a scherzare
con la sorridente Giunone. "Il piacere che provate voi donne",
le disse, "è certamente maggiore di quello che provano i maschi."
Lei contesta. Decisero di sentire allora il parere
di Tiresia, che per pratica conosceva l'uno e l'altro amore.
Con un colpo di bastone aveva infatti interrotto
in una selva verdeggiante il connubio di due grossi serpenti,
e divenuto per miracolo da uomo femmina, rimase
tale per sette autunni. All'ottavo rivedendoli nuovamente:
"Se il colpirvi ha tanto potere di cambiare", disse,
"nel suo contrario la natura di chi vi colpisce,
vi batterò ancora!". E percossi un'altra volta quei serpenti,
gli tornò il primitivo aspetto, la figura con cui era nato.
E costui, scelto come arbitro in quella divertente contesa,
conferma la tesi di Giove. Più del giusto e del dovuto al caso,
a quanto si dice, s'impermalì la figlia di Saturno e gli occhi
di chi le aveva dato torto condannò a eterna tenebra.
Ma il padre onnipotente (giacché nessun dio può annullare
ciò che un altro dio ha fatto), in cambio della vista perduta,
gli diede scienza del futuro, alleviando la pena con l'onore.
(libro terzo - Metamorfosi di Ovidio)


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Paesaggio e paesaggio della memoria

Nel mio dipingere il paesaggio ha avuto un aspetto di prevalenza.
Ci sono stati due modi con cui mi sono accostato al paesaggio: come contatto immediato con un presente che mi circondava e come memoria interiore che riemergeva.


Paesaggio
Nel dipingere il paesaggio presente, che ho chiamato paesaggio con il luogo ben preciso di dove mi trovavo, per tutto il tempo della realizzazione dell’opera mi sono trovato immerso nel luogo: ho cominciato con un primo schizzo per individuare le parti fisiche, sono ritornato più volte per esaminare le variazioni di colore durante l’arco di un giorno o di più giorni. Qualche volta la colorazione era immediata, spesso era frutto di ricerca in studio, ma in ogni caso l’esperienza con la realtà era vicina.








Questo acquerello della porta di Atri rappresenta quello che ho chiamato paesaggio del presente. Sono tornato più giorni in quel luogo per osservare la disposizione dei mattoni e la colorazione della luce solare che si spargeva su quei mattoni.

Paesaggio della memoria

In quello che ho chiamato paesaggio della memoria è prevalente la lontananza in termini di spazio e di tempo. Del paesaggio passato a volte era rimasto nel cassetto qualche schizzo impreciso o solo un’immagine fugace nella mia mente.







Questo acquerello ha come soggetto la stessa porta di Atri, ma dalla parte opposta. Attraverso un debole schizzo del 1992 ritornai nel 1998 con la mia memoria a un posto che aveva avuto spazio nella mia vita. La debole traccia dello schizzo ricordava appena qualcosa e per i suoi colori dovevo ricorrere alla memoria e al sogno.


Alcuni paesaggi della memoria non sono mai esistiti in nessun luogo, sono elementi che si compongono come pezzi della memoria stessa rimescolati da un sogno; gli elementi di un reale vissuto ancora permangono ma si mescolano con altri elementi mai esistiti, il colore permette tale mescolanza e come una specie di viatico permette di affrontare un viaggio sconosciuto.
Questo olio raffigura un’immagine della Sicilia che mi porto dentro, il movimento di colline gialle, lo scorcio di mare, le pale dei fichi d’india, ma i sassi che stanno disposti come denti sembrano rappresentare un antico malessere. (f.z.)